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“Ho un sogno, una canzone da cantare, per aiutarmi ad affrontare qualsiasi cosa” così cantavano gli Abba una quarantina di anni fa quando eravamo ammaliati dalle immagini del Torneo delle Cinque Nazioni. Una specie di mitico appuntamento che nei primi mesi di ogni anno aveva luogo nelle lande del Nord Europa. Noi si guardava quello che mamma Rai trasmetteva cercando d’imparare nomi e fisionomie, sperando di vederli un giorno in campo a contendere la palla alle maglie azzurre. Ci siamo arrivati con pazienza e tenacia, sospinti dai risultati di una nazionale che per gran parte dei Novanta ha giocato alla pari con le maglie viste in televisione, una ventina di anni dopo e abbiamo combattuto con alti e bassi per una decina d’anni forti di essere stati ammessi al paradiso ovale. Poteva essere un trampolino di lancio per il rugby italiano e per alcune ragioni lo è stato finché abbiamo deciso che eravamo tropo distanti dai maestri celti e dai presuntuosi inglesi e dagli amati cugini che abitano oltre le alpi a Ovest. La FIR ha creato un sistema di reclutamento-allevamento molto distante dalle possibilità di un rugby, quello italiano, che ha un saldissimo legame con il territorio a macchie dove la palla ovale ha attecchito e per certi versi, imperversato. Si sono create delle modalità astruse nella scelta dei virgulti da intruppare nelle accademie per l’alto livello. Il risultato è sotto gli occhi di tutti noi, amanti della palla ovale. Un regresso sostanzioso di popolarità a livello mediatico e una credibilità dubbia presso i nostri invidiati antagonisti. Una decina d’anni di risultati sempre più negativi hanno sospinto la nostra credibilità come movimento ovale ai minimi termini. Adesso siamo in procinto di partire verso una campagna di guerra ovale dove già contiamo morti e feriti senza aver dato un calcio alla palla e nemmeno avendola avuto stretta al petto. Questo è il timore che ha spesso l’aria ineluttabile di una facile profezia che grava su un movimento che nonostante il cambiamento dei vertici paga il dazio alle precedenti gestioni ben poco capaci di comprendere i cambiamenti al livello sportivo e nemmeno a quello della società che genera i virgulti capaci di tenere in mano un pallone ovale. Siamo qui a cercare la giusta canzone per affrontare qualsiasi evenienza. Siamo ancora qui dopo tanti anni a cercare un motivo per sedersi davanti al televisore sapendo che saranno dolori e amarezze. Cerchiamo di confortarci con qualche buon risultato dei nostri giovanissimi, ma guardando con realismo alla situazione siamo carenti come e più del periodo che segnò la riforma della qualità nel rugby italiano. Sorriso, senza nessuna felicità pensando siamo tornati ad ingaggiare bravissimi e fedeli giocatori che vanno in campo per onorare la maglia dell’Italia, avendo una formazione ben lontana da quella proposta dalla FIR negli ultimi due lustri. I ragazzi di casa sono quelli che sono rimasti, a dispetto delle mille strettoie che un programma assurdo ha imposto alla loro formazione e vita quotidiana. Molti partiti con fieri propositi nella scuola d’élite della FIR sono scomparsi o navigano a vista nelle serie minori italiane. Quali siano le maggiori non è dato a saperlo dopo la svendita agli occhi del pubblico del massimo campionato italiano e dei tornei sottostanti. Ragazzi che avevano delle possibilità sono “scomparsi” per la poca capacità di selezione e così siamo arrivati al Sei Nazioni 2022. Il ventitreesimo della nostra storia, ancora con l’acqua alla gola come è successo per buona parte degli ultimi dieci anni. Abbiamo dei segnali di speranza in un futuro migliore? Ve lo dirò alla fine del torneo. Adesso posso solo constatare che abbiamo ancora quel senso di oppressione e scarsa fiducia che, come un fantasma, abita nei cuori e nelle anime del pubblico ovale italiano. Da troppo tempo ormai siamo in uno stato di fatalismo poco adatto al gioco del rugby, ma questo è il risultato di dieci anni di profonda crisi del sistema ovale nella Penisola. Diventando vecchio vorrei avere la minima gioia di sedermi e godere di una partita da giocare alla pari, così non è, ma sempre e comunque "forsa e corajo" ai nostri ragazzi e che vinca il peggiore, cioè noi.

Sono passati meno di due mesi dalla vittoria del Valpolicella nel derby scaligero e tre giorni or sono si è giocata la seconda partita valevole per la Carli Cup. Verona andava in visita ai detentori che, meritatamente, avevano vinto per la prima volta il trofeo dedicato a Carlo Ranzato emerito diffusore del rugby nelle scuole. Il Valpolicella Rugby aveva dato al Verona filo da torcere nel primo tempo della partita d’andata e poi, continuando nel suo gioco semplice, si era aggiudicato il trofeo, uscendo a testa alta dal Payanini Center. Sconforto in casa Verona dopo la serie ininterrotta di vittoria dalla costituzione della Carli Cup e orgoglio con annessa soddisfazione per i ragazzi in giallo-oro-nero capaci di portare il trofeo a San Pietro in Cariano. Ho visto la partita in televisione e per la seconda volta ho mancato l’appuntamento con lo stato del rugby veronese, mi dispiace, ma una malattia di stagione mi ha tenuto seduto davanti al computer. Difficile parlare delle partite viste in video, mancano gli elementi fondamentali per vivere una partita di rugby. Il pubblico era quello delle grandi occasioni e l’elettricità abbastanza a buon livello, soprattutto in campo. La partita è stata, mi dispiace per i ragazzi della Valpolicella, a senso unico. Il Verona Rugby ha mostrato più costanza nell’applicare il gioco e il notevole incremento delle fasi statiche, mischia, maul e rimesse laterali, hanno messo tra le mani dei mediani antracite palloni in grande numero da giocare. Il Valpolicella ha provato, a sprazzi, a contenere il gioco degli avversari, ma con poco successo. Davanti a un impianto di gioco organizzato e a tratti ben orchestrato nel ritmo, i ragazzi guidati da Ferraro hanno iniziato quasi da subito a perdere la conquista e a disorganizzarsi, nonostante il grande impegno profuso in campo. Tanto all’andata erano riusciti, con un motore diesel, a mantenere il numero di giri necessario a mette in scacco il Verona Rugby, tanto nel ritorno hanno patito la maggior cilindrata degli antracite che hanno potuto attaccare da ogni parte del campo. Verona ha sprecato, per troppa voglia di mostrare la propria superiorità, qualche ottima occasione per andare in meta, ma hanno anche messo in mostra una difesa che all’andata era stata ben poco efficace. Il Valpolicella è stato capace d’impostare azioni interessanti che non si sono concretizzate per una discreta approssimazione messa in campo dai ragazzi della valle del vino. Spiace dirlo, ma l’orgoglio non basta per portare la palla oltre la linea a bianca e sono rimasti con uno zero pesante sul tabellino. Il Valpolicella chiude il suo campionato in penultima posizione e con qualche sconfitta di troppo, ma si sa che le annate possono partire bene e trasformarsi, strada facendo, in campionati di sacrificio. Non ho avuto il piacere di seguire i ragazzi giallo-rosso-nero dal vivo e mi dispiace, ma conto, dato la loro permanenza in serie A di rivederli al più presto, chiaramente nella Carli Cup. Finisce il campionato e Verona con sei vittorie consecutive, in un crescendo, dopo un torneo giocato per tre quarti in maniera affannosa e con poca organizzazione, pone una buona base su cui poggiare le proprie ambizioni il prossimo anno. La primavera ha portato risultati migliori e un buon incremento delle fasi statiche e d’attacco, ma sappiamo bene, da vecchi osservatori della palla ovale, che le due componenti del gioco vanno a braccetto. Spero questa sia la base di partenza per il prossimo campionato del Verona Rugby che, con qualche ritocco verso uomini d’esperienza o chiocce in campo, potrebbe dare maggiori soddisfazioni. Il ragionamento però qui scritto avrebbe bisogno di maggiori riflessioni che rimangono solo pensieri del vostro osservatore in attesa che venga ottobre per vedere all’opera gli antracite. Noto che alcuni ex giocatori del Verona Rugby giocheranno le finali per l’accesso al Top Ten. E’ un dato che mi rende contento e nello stesso tempo mi pone delle domande ben precise, ma conosco ben poco la società per darmi delle risposte avventate e auguro ai ragazzi di giocarsi al meglio le loro possibilità.

E così inaspettatamente e meritatamente il Valpolicella Rugby vince la prima Carli Cup da quando è stata istituita una quindicina di anni or sono come trofeo per le squadre di rugby cittadine. Bravi i ragazzi della Valle del Vino. Domenica 13 marzo la coppa dedicata a Carlo Ranzato, ha iniziato il cammino alle 15.25 circa verso via delle Tofane, San Pietro In Cariano, sede del club rosso-giallo e si è accomodata in bacheca alle 16.05. Qualche altra volta vi era quasi giunta, poi il risultato era mutato nei minuti finali ed era tornata a Verona. Istituita nella stagione 2007-08 era rimasta sempre nelle sedi veronesi del club cittadino, qualche volta era stata agguantata all’ultimo minuto, altre non si era mai mossa dalla sua postazione. Ho un grande interesse per la stracittadina, sono uno stagionato appassionato di rugby con una particolare attenzione per quello veronese e questa è la prima volta, se la mente mi soccorre, che non assisto dal vivo alla partita che mette in palio la Coppa Carli. Domenica il pranzo è finito troppo tardi per arrivare in Via San Marco con l’anticipo che necessitano, almeno per me, le grandi sfide della palla ovale, così mi sono messo davanti allo schermo e ho seguito in diretta la sfida. L’ho anche rivista per avere maggiori dettagli perché scrivere di rugby da remoto è sempre faticoso. Ho riletto le impressioni scritte velocemente domenica e tutt’ora penso che, dopo i venti minuti iniziali e il risultato largamente a favore del Verona, avrei potuto spegnere pensando ad una contesa già risolta a favore dei padroni di casa, ma così non è stato. Ho continuato, tenendo bene a mente, un appunto che diceva “Valpolicella determinato e presente”. Ho ammirato nel primo tempo qualche sprazzo di gioco del Verona e la tenace resistenza e volontà di fare gioco continuamente dei ragazzi in Giallo-Rosso. Questi hanno mostrato l’essenziale del rugby: giocare con continuità senza avere timore del risultato negativo. Il Verona ha continuato il suo gioco, spesso scolastico, perdendo, man mano che i minuti passavano, il controllo del possesso. Le fasi statiche sono diventate sempre più problematiche con una rimessa laterale sempre meno efficace e una tendenza a “disorganizzarsi”. Il risultato era ampiamente a loro favore, anche se, il secondo tempo ha mostrato sempre più la capacità del Valpolicella di mantenere alto il contrasto sui punti d’incontro, incrementando la capacità, arrivati nei ventidue metri scaligeri, di impostare raggruppamenti avanzanti su cui la mischia veronese non ha mostrato capacità di contrasto efficaci. Le mete del Valpolicella sono arrivate da quelle fasi di gioco e da una difesa che ha saputo arginare i tentativi offensivi di Verona, sempre più incapace di organizzare un gioco proficuo avendo perso le fonti del possesso. La disorganizzazione è diventata troppo evidente nei padroni di casa, mentre il punteggio era sempre più in bilico e i falli del Verona diventavano patologici, mettendo un serio freno a qualsiasi iniziativa di riconquistare campo e qualità di gioco. Il sorpasso del Valpolicella è stato il frutto di quaranta minuti di costante capacità d’interdire il gioco dei padroni di casa, rilanciando l’azione e segnando ventiquattro punti, quanti bastavano a tenere a distanza il Rugby Verona ormai poco capace di ribattere. Per dovere di cronaca segnalo che gli ultimi minuti di gioco sono stati l’ultima opportunità per il Verona di cambiare il risultato. Le ripetute mischie avute ai cinque metri dall’area di meta del Valpolicella non hanno sortito niente, se non azioni individuali poco organizzate che si sono infrante sull’ordinata difesa degli ospiti. Un fallo degli antracite ha messo fine alla contesa e la Coppa Carli si è sistemata definitivamente in Via delle Tofane a San Pietro in Cariano. Ferraro e compagni hanno alzato la coppa meritatamente avendo affrontato la partita da sfavoriti per la posizione in classifica. Sono riusciti a ribaltare, con grande merito, quelle che erano state le prospettive della vigilia. La vittoria può rilanciare la loro stagione, partita molto bene, ma fermatasi per una serie d’infortuni e di risultati negativi. Verona è in un periodo poco favorevole, credo abbia bisogno di ripensare al comportamento in campo rispetto alle regole del rugby e a una maggior focalizzazione del gioco per ottenere risultati. Aspetto il ritorno per avere maggiori dettagli sullo stato della palla ovale veronese, per intanto gloria al Valpolicella Rugby. Godetevi la vittoria, l’avete meritata.

Un amico stabile sugli scalini del Gavagnin mi ha “accusato” di aver mantenuto un commento sulla partita molto neutrale. Chiede qualche nota di colore, lo accontento, con quanto ho scritto durante la telecronaca magnificamente illustrata da Davide Adami. Queste di seguito sono le note scritte

  • “Conosco più giocatori in campo del Valpolicella che quelli del Verona”. I tempi cambiano, così come il rugby e veniamo da due anni di liberta vigilata per pandemia in atto, comunque sia mi sono perso qualche puntata del rugby veronese, nonostante la mia frequentazione del centro Payanini.
  • “Ottime giocate del Verona, figlie di iniziative personali” “Verona solista, poco capace di giocare coralmente. Valpolicella essenziale, quasi elementare. Sempre presente” Le note sono relative al primo quarto dell’incontro.
  • “Verona perde focus in alcuni frangenti sembrano degli scolari in cerca dell’approvazione del maestro” “Valpolicella ancorato alla base del rugby” La seconda parte del primo tempo è stata un’anteprima di quello che sarebbe successo nel secondo.
  • “Hanno (il Verona ndr) uno skill coach, probabilmente sarà deluso, oppure incazzato” La marea di errori di gestualità gratuiti dei suoi giocatori è stata imbarazzante così come i falli elementari e privi di qualsiasi senso pratico.
  • “Valpolicella ha visto le precedenti partite del Verona e mette in atto raggruppamenti avanzanti su cui la mischia di Verona è veramente povera di contrasto” La nota è stata scritta, ora, con maggior qualità lessicale Sono stato impressionato dalla fondamentale incapacità di impostare e difendere le maul da parte del pacchetto antracite che si è manifestata anche nelle partite giocate le scorse settimane.
  • “La lingua batte dove i dente duole” “Valpo cinico” I ragazzi in giallo-rosso-nero hanno giocato, giustamente, sulle debolezze palesi, del Verona, nelle fasi statiche
  • “La rimessa laterale sembra sia stata disorganizzata appositamente”. Questo il mio commento vedendo l’inconsistenza di una fase fondamentale nel gioco del rugby. Qualcuno di voi ricorderà Orioli tallonatore francese.
  • “Verona con la testa alla fase successiva. Valpo pressa e conquista” Qualche giocatore del Verona sembrava sfuocato sulla fase di gioco in corso, forse pensando al dopo. L’intensità è andata a spasso lungo la linea ferroviaria del Brennero 🙂 Ferraro e compagni hanno continuato ad incalzare una squadra incapace di giocare con continuità e hanno vinto.
  • “Assalto al forte senza piani di lotta” Gli ultimi minuti hanno mostrato una grande difesa del Valpolicella e una situazione favorevole, mischia ai cinque per Verona, giocata spesso senza uno schema adatto per sfondare. Le occasioni per farlo sono state almeno quattro, ma nessuna è stata giocata con criterio.
  • “I ragazzi del Valpo hanno scelto uno splendido palcoscenico per vincere la Carli Cup” Nota finale senza bisogno di commenti.

Il dilemma è ormai un tormento che rimane da anni nella nostra letteratura riguardo la palla ovale. Siamo migliorati nonostante la trentesima e passa sconfitta? Da quando siamo entrati nl rugby europeo d’élite, abbiamo sofferto il complesso psicologico di coloro che incontrano i maestri e con deferenza si premurano di analizzare, con grande realismo, quanto e come ci siamo loro avvicinati nel praticare il gioco della palla ovale. Ben poche volte abbiamo lasciato questo complesso d’inferiorità negli spogliatoi, uscendo sul campo con la determinazione di poter giocare alla pari e così il dilemma è nato e si è costituito parte civile in qualsiasi “processo” venga intentato alla nazionale italiana. Domenica pomeriggio abbiamo dato battaglia con numerose falle nella tattica, ci siamo resi protagonisti di aver zittito lo Stade de France con una meta che ha gelato i ben disposti galletti verso i loro eroi in bianco, ben poco produttivi sul campo. Ci siamo lasciati sfuggire qualche occasione, come sempre succede, per desuetudine alla capitalizzazione dei punti per rendere problematica l’attitudine degli avversari. Dupont e compagni irretiti dalla presenza costante degli italiani hanno balbettato rugby, ma hanno concluso quello che passava dal loro gioco intorpidito. Noi no, siamo rimasti attaccati al nostro piano di gioco che pian piano è diventato improduttivo per la nostra scarsa capacità di concludere ciò che di buono iniziamo. Giocando con meno languore i Francesi ci hanno messo in castigo con un perentorio 37 – 10 che ci fa ritornare immediatamente al dilemma esemplificato sopra. Siamo migliorati? Si, rispetto a quanto messo in campo dopo le tre prime partite, orribili, della gestione di Crowley in cabina di regia e di Lamaro sul campo. Il nostro allenatore afferma che abbiamo fatto un passo in avanti, ma non nel risultato. Completamente d’accordo. Qui, spiacente di essere ormai vecchio, ritornano le mille tonnellate di parole spese per le “sconfitte onorevoli” che per quanto giocate a testa alta, tali rimangono che ho letto e sentito per troppi anni sulla nostra rappresentativa nazionale maggiore. Mi sembra, sempre più, il gioco dell’Oca, quando esce la carta “ritorna alla partenza”. Da qualche parte dobbiamo pur partire, ma da troppo tempo siamo alla partenza e i nostri percorsi, prima o poi li tornano. E’ frustrante, desolante, ma questa è la condizione che viviamo quando le sconfitte diventano uguali a se stesse per troppo tempo diminuendo l’autostima di chi ci rappresenta in campo e quella degli spettatori che non assistono allo “spettacolo del rugby”, così si è cercato di vendere delle sonore mazzate, ma di coloro che vogliono una partita in cui si va in campo per vincere. Certo ho notato un cambiamento dai test di Novembre. Ho apprezzato la dedizione e in alcuni frangenti la qualità di quanto abbiamo fatto, ma alla fine il risultato ci inchioda alla realtà di una partita persa con distacco notevole dagli avversari. La domanda che mi pongo è: sono fiducioso? O meglio riuscirò a dare corpo a un sentimento positivo la prossima domenica di fronte agli inglesi? Si, certo, a patto che non diventi l’ennesima puntata di una storia che già conosciamo.

« Non è la prima volta…

Danilo Zantedeschi detto Pancho

Danilo è stato parte fondamentale di questo blog con le sue osservazioni, critiche e suggerimenti, per questo oggi lo ricordiamo. Per chi scrive è stato un continuo testimone della palla ovale avendolo visto giocare in una concitata partita al Gavagnin, tra le prime viste a metà dei Settanta e per averlo incontrato nelle gare casalinghe e in alcune trasferte fondamentali per la vita del CUS Verona Rugby. Lui era il rugby a Verona e oggi lo salutiamo. È uscito dal campo definitivamente, lasciando alla città di Verona un nucleo robusto di appassionati per il rugby. Questo è stato il suo scopo e meta nel Centro Universitario Sportivo a cui ha dedicato molta parte della sua vita. Ognuno nell’ambiente lo ricorderà per quello che ha avuto da Danilo, personalmente ho imparato che il rugby non è solo un gioco, ma una maniera di essere.

Non è la prima volta che la nazionale italiana mi sveglia in ore particolari. 1987 partita d’esordio del primo mondiale in Nuova Zelanda, partita d’apertura: i padroni di casa aprono con noi, è notte fonda. Resisto il primo tempo chiuso 12 – 3 vado finalmente a letto pensando avremo fatto un buon secondo tempo, finì 70-6 per gli All Blacks e, rovinata la notte, il mattino, conosciuto il risultato fu pessimo. Stamane onestamente mi sono annoiato, abbiamo balbettato rugby (ringrazio G. Brera per la metafora) La squadra è questa, l’impostazione di gioco la conosciamo, l’atteggiamento dimesso in campo è ormai un’abitudine. Conquistati cinque punti guardiamo con maggior sicurezza alla partita con il Canada, il resto del nostro campionato del mondo sappiamo già da tempo come andrà a finire. Ci qualificheremo, lo spero vivamente, per il prossimo mondiale e la gestione COS sarà finita. Continua a leggere »